Un diritto non è ciò che ti viene dato da qualcuno; è ciò che nessuno può toglierti. (Giudice Tom C. Clark)

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L’efficacia della tutela antidiscriminatoria a favore delle persone con disabilità

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Articolo di Alessandro Gerardi – Consigliere Generale Associazione Luca Coscioni – pubblicato sul Dubbio del 27 settembre 2021

Essere disabili gravi oggi in Italia vuol dire diventare ultimi, significa essere lasciati soli con la propria malattia e privati dell’assistenza, dei sostegni e soprattutto della sfida di essere autonomi. Coloro che non hanno la fortuna di avere molti soldi e una famiglia (giovane) che possa prendersi cura di loro, dopo anni di lotte e di sofferenza si vedono purtroppo ridotti allo stremo, e poi smettono di reclamare i propri diritti, tra cui quello di vivere in città senza barriere architettoniche. La persona con disabilità resta, infatti, dal punto di vista sociale, un soggetto debole perché troppo spesso non riesce a spostarsi da un luogo ad un altro a causa della presenza delle barriere architettoniche che non le permettono di fruire, come tutti gli altri cittadini, di spazi ed edifici pubblici, o di varcare l’ingresso di un esercizio commerciale o di un cinema, né tanto meno di salire su un mezzo di trasporto o di accedere alla spiaggia e al mare, all’interno di un edificio scolastico e in tantissimi altri luoghi. Le decine di iniziative legali promosse dall’Associazione Luca Coscioni in tutti questi anni dimostrano che questa situazione di diffusa illegalità, o di “discriminazione legalizzata”, può essere contrastata solo grazie agli strumenti offerti dall’azione civile antidiscriminatoria. Eppure il nostro Paese vanta una delle più avanzate normative a livello internazionale in ambito di tutela dei diritti delle persone con disabilità, così come imposto dall’art. 3 della nostra Costituzione che riconosce espressamente la pari dignità di tutti i cittadini e la loro uguaglianza davanti alla legge, senza alcuna distinzione basata sulle loro condizioni personali e sociali. Non a caso l’Italia, con Legge n. 18 del 3 marzo 2009, è stato uno dei primi Paesi a ratificare la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ciò proprio al fine di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte di quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla società. Ancora oggi, però, a fronte di questo avanzatissimo piano normativo, le persona con disabilità devono ricorrere in Tribunale per vedere riconosciuto il proprio diritto ad una mobilità autonoma e senza barriere. Secondo i dati Istat in Italia ci sono 3 milioni di persone diversamente abili, secondo il Censis sarebbero addirittura più di 4 milioni. La statistica quindi ci dice che ogni sei individui abili, c’è una persona con disabilità. Eppure quando siamo su un treno, per strada, al mare o al ristorante e ci guardiamo intorno, quasi mai li incontriamo. Dove sono tutte queste persone di cui parla l’Istat? Ci sono, esistono, ma non si vedono perché non escono, e non escono perché i luoghi sono inaccessibili e le nostre città piene di barriere architettoniche. L’eliminazione delle barriere materiali e sensoriali è di fondamentale importanza anche perché riduce l’handicap e, di conseguenza, alleggerisce l’intervento meramente assistenziale degli enti locali, con ciò arrecando un beneficio a tutti, a prescindere dalle condizioni di salute di ciascuno di noi. Le barriere architettoniche negli spazi urbani e negli edifici pubblici costituiscono dunque un problema di rilevanza sociale che comporta, per tutte le persone disabili, ricadute negative in termini di inclusione sociale, economica e lavorativa. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la mancata rimozione di una barriera sensoriale o materiale da parte di un privato o di una amministrazione pubblica, integra gli estremi della condotta discriminatoria in danno delle persone con disabilità. Per questi motivi il legislatore nel 2006 ha introdotto nel nostro ordinamento la legge n. 67, poi modificata dal successivo art. 28 D.lgs n. 150/2011, mettendo a disposizione delle singole persone con disabilità  – e delle Associazioni che ne rappresentano e tutelano gli interessi – un insieme di regole e disposizioni di carattere speciale a mezzo delle quali è stato conferito loro il diritto di promuovere un’azione civile di fronte al Tribunale al fine di far cessare la condotta discriminatoria attraverso la rimozione della barriera architettonica. Negli ultimi anni, proprio grazie alle opportunità offerte da questo procedimento antidiscriminatorio, l’Associazione Luca Coscioni ha promosso numerose cause in diversi uffici giudiziari, citando in giudizio non solo soggetti privati, ma anche enti e amministrazioni pubbliche, fondazioni e società di trasporto, riuscendo ad ottenere la loro condanna per condotta discriminatoria. Grazie a queste pronunce immediatamente esecutive i soggetti citati in giudizio sono stati obbligati dai Tribunali a realizzare importanti opere volte a garantire la piena accessibilità dei disabili all’interno dei mezzi di trasporto e, in generale, di edifici, spazi e luoghi pubblici. La tutela antidiscriminatoria così come elaborata dal Legislatore è dunque un agile e  formidabile strumento per promuovere pretese di carattere individuale e collettivo e per ovviare alle inadempienze dei soggetti privati e al funzionamento insoddisfacente delle amministrazioni pubbliche. Uno strumento che si connota per un vantaggio strutturale di non poco conto, visto e considerato che diversamente da un Sindaco o da un Assessore, il Giudice è quasi sempre tenuto a fornire una risposta. Sappiamo infatti che i circuiti politici tradizionali tendono ad avere livelli modesti di rendimento, fatto questo che indebolisce la capacità di risposta delle strutture amministrative. È pertanto più probabile che chi ha pretese insoddisfatte o vanta aspettative frustrate decida di percorrere altre vie, mettendo a frutto le potenzialità del procedimento giudiziario delineato dalla Legge n. 67/2006. Del resto anche il sistema giudiziario, proprio come il più ampio sistema politico in cui è inserito, processa domande che provengono dall’ambiente, ma nel farlo dispone di un vantaggio strategico: è più aperto di molti altri apparati istituzionali. E per accedervi occorrono in genere meno risorse (ad esempio canali privilegiati di comunicazione) di quelle richieste per influire sul processo legislativo o su quello amministrativo. Ogni persona con disabilità infatti può rivolgersi al Tribunale (formalmente il singolo non ha bisogno del sostegno di un gruppo o di un movimento politico per rivolgersi all’autorità giudiziaria), e può farlo, in questo tipo di procedimenti, con costi contenuti, con l’ausilio di una associazione di categoria e anche senza l’assistenza di un difensore. E una volta attivato l’iter giudiziario, il giudice è tenuto comunque a fornire una risposta. Favorevole o meno che sia, una risposta è spesso più di quanto altre istituzioni possano, o intendano, dare.

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