Un diritto non è ciò che ti viene dato da qualcuno; è ciò che nessuno può toglierti. (Giudice Tom C. Clark)

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Mezzi pubblici inaccessibili ai disabili Condannate le città di Torino e Roma

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Due grandi città capoluogo condannate, nel giro di un’estate, per inaccessibilità dei mezzi di trasporto pubblici. La prima è Torino, dove a giugno una sentenza del Tar ha giudicato il Comune piemontese inadempiente per quel che riguarda il diritto alla mobilità delle persone disabili. Nei prossimi sei mesi il Gruppo torinese trasporti (Gtt) dovrà approvare un piano contenente «idonee misure di programmazione e pianificazione degli interventi atti a eliminare le barriere architettoniche e a migliorare l’accesso degli utenti disabili al servizio di trasporto pubblico e agli spazi urbani», comprese «la realizzazione di percorsi accessibili e l’installazione di semafori acustici per non vedenti».

Sorte simile è toccata, sempre in giugno, a Roma Capitale a causa dell’inaccessibilità della metropolitana: tanto l’ente locale quanto Atac (l’Azienda per la mobilità), riconosciuti entrambi colpevoli di condotta discriminatoria nei confronti delle persone con disabilità motorie, sono stati costretti sia risarcire i danni sia a pubblicare la sentenza di condanna su un noto quotidiano locale come pena accessoria. Due decisioni giudiziarie “storiche”, che costituiscono un precedente che dovrebbe fare scuola, che hanno premiato i ricorrenti – nel primo caso un pool di associazioni, nel secondo un singolo cittadino -, che invitano alla battaglia legale e che fanno ben sperare per il futuro dei diritti delle persone disabili. Sempre che le istituzioni ottemperino i provvedimenti dei giudici.

Qui Torino

Il capoluogo piemontese dovrà mettersi al lavoro per garantire l’accessibilità dell’intera rete del trasporto urbano, che è stata giudicata insufficiente dal Tar del Piemonte. Una decisione giunta al termine di una diatriba, non solo legale, iniziata nel 2012 da un gruppo di associazioni tra cui la Consulta per le persone in difficoltà (che riunisce una cinquantina di realtà), la Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare), il Cepim-Centro persone Down, il Coordinamento paratetraplegici e Handicap e sviluppo onlus. Oggetto del contendere era stata soprattutto la compartecipazione dei cittadini disabili ai costi relativi ai buoni taxi, che fino ad allora erano stati distribuiti gratuitamente dal Comune per permettere alle persone con disabilità motorie e sensoriali di recarsi al lavoro o a una visita medica: per l’amministrazione cittadina l’alternativa dovevano essere i mezzi pubblici, sulla cui accessibilità le associazioni avevano diffuso dati desolanti.

Ora, anche se il Tar non ha accolto il ricorso sui buoni taxi, ha giudicato inadempienti sia il Comune di Torino sia l’azienda di trasporto pubblico nei confronti della legge 104/92, che sancisce il dovere di eliminare le barriere architettoniche e di programmare «interventi atti a consentire alle persone disabili di muoversi liberamente sul territorio usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi». «Non si dovrebbe mai arrivare a ricorsi e contro ricorsi o a far scendere in piazza delle persone disabili per vedere il riconoscimento dei loro diritti – commenta Giacinto Santagata, presidente della Uildm -: sarebbe molto meglio trovare un accordo tra le parti frutto di un confronto. Sarò contento di questa sentenza solo quando si vedrà qualcosa di concreto: se dovesse rimanere esclusivamente sulla carta sarà stato un lavoro inutile. Comunque, rispetto a qualche anno fa, il Comune di Torino e il Gtt hanno fatto molto: non è ancora sufficiente, ma qualcosa si è mosso». E adesso? «Continueremo a vigilare sull’operato dell’amministrazione per controllare che il provvedimento giudiziario abbia un seguito», conclude.

Qui Roma

Il caso è quello denunciato da Laura Fois, mamma di Pietro, un ragazzo disabile di 14 anni. Lo scorso gennaio madre e figlio decidono di visitare Cinecittà. E scelgono di andarci in metropolitana perché le due stazioni, Cipro e quella degli studios, stando al sito dell’Atac, risultano accessibili. Ma all’arrivo sia l’ascensore sia il servoscala sono guasti e non ci sono operatori per assistere i passeggeri. Così, dopo aver telefonato invano alla polizia, chiamano il padre del ragazzo per sollevare la carrozzina e salire i gradini che portano in superficie. Indignata per quanto accaduto, dopo alcuni mesi la famiglia ripete l’esperienza accompagnata da una troupe del Tg3. Ma questa volta l’ascensore è fuori uso anche a Cipro. La signora Fois si rivolge allora all’associazione Luca Coscioni per sporgere denuncia al Tribunale civile di Roma. A giugno la sentenza: tanto la società di trasporto pubblico quanto il Comune si sono resi responsabili di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità ai sensi della legge 67/2006.

Atac ha omesso sia di garantire «gli strumenti tecnici e il personale operativo per consentire il funzionamento degli impianti», sia di fornire «un’informazione adeguata per assicurare all’utenza lo stato del servizio e della sua funzionalità», mentre Roma Capitale (in quanto unico azionista dell’Atac) ha «omesso il controllo e la vigilanza negli atti concreti delle società partecipate». Il giudice ha quindi condannando entrambi a rendere accessibili le due stazioni della metro, a risarcire la famiglia di Pietro di 2.500 euro per i danni morali subiti, a pagare le spese processuali e a pubblicare il provvedimento «su uno dei quotidiani di maggiore diffusione locale». Del resto il Campidoglio non è nuovo a questi fatti: era già successo due anni fa con la giunta Alemanno per inaccessibilità delle fermate degli autobus. Però va detto anche che, dal 2011 al 2013, il Comune di Roma ha inviato ad Atac 21 note, sanzionando l’Azienda per la mobilità per 1,5 milioni di euro. Ma «l’aspetto più importante di questo provvedimento sta nel fatto che il Tribunale ha condannato non solo la Capitale ma anche Atac», ha dichiarato Alessandro Gerardi, avvocato dell’associazione Luca Coscioni, subito dopo la sentenza.

(Fonte: Corriere della Sera 6 novembre 2014)

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